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Channel: Commenti a: L’interpretazione dei Sogni di Sigmund Freud
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Di: GiuliusT

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Hai formulato una risposta squisitamente filosofica. Se posso permettermi -non prenderlo come un offesa per favore- particolarmente “galimberticentrica”

Galimberti è un autore vasto, collega sia la filosofia alla psicoanalisi, ha lavorato in psichiatria, ha portato in italia Jaspers ed è un ottimo divulgatore del difficile linguaggio di Heidegger, ha riassunto e riproposto in antropologia la teoria dell’azione di Gehlen. Se mi ci accomodo è perchè si sta larghi e lo cito perchè raccoglie più autori, certamente diversi. La teoria è ben strutturata. Ma c’è una differenza con le altre teorie e per questo ti dico che non è una risposta filosofica in senso comune (pensiero astratto duramente logico e poco collegato concretamente con la realtà): se prima di Heidegger la filosofia ha un carattere unificatore, inglobante, dove la teoria tende ad essere sempre più stabile e fagocita le altre avendo come risultato dopo centinaia di anni l’esclusivismo accademico e l’autoreferenzialità della logica interna, che funziona solo in base ai presupposti che ha posto essa stessa, dopo Heidegger con il ritorno all’ascolto dell’essere e con l’analitica esistenziale della relazione uomo-mondo, si ha una potente liberazione da tutte le dottrine. Certo la dottrina della liberazione dalle dottrine può generare una contraddizione subito evidente, in quanto si pone egemone essa stessa mettendo comunque in scacco le altre e inglobandole. Lascio il paradosso aperto, la risposta si può trovare negli scritti di questi autori.

Per rispondere visto che trovo dei preconcetti di fondo in tutta la risposta, prendo le domande sopra e vediamo innanzitutto di portare alla luce questi preconcetti:
come percepiamo il mondo? La risposta è data appunto ora dalla psicologia (dicono bene) e prima dalla filosofia (dicono ingenuamente o con cattivo metodo), ma la risposta è poco interessante.. sono interessanti i presupposti della domanda. Per fare questa domanda ci si deve porre in una logica oggettivante, si deve scindere un oggetto, posto di fronte (ob-jectum) a un soggetto interpersonale, cosi che sia valido per tutti. Cosa dice questa domanda della mia percezione attuale specifica? Quali sono i rapporti tra la mia percezione e questa modalità di porsi di fronte alla percezione? Se la percezione è percezione anche della domanda sulla percezione, come può la domanda andare oltre al limite dell’osservatore? Una volta arrivati a questo limite, si può accedere ad altri discorsi. Questo limite lo si trova in tutte le domande che riguardano l’uomo, si può impostare con tutti i casi, la memoria, l’intelligenza, le emozioni ecc. Si sbatte contro l’evidenza che nell’attuale esistenza, l’uomo deve scindere un oggetto da un soggetto, e guardarli per cosi dire dall’alto dimenticando che il vero soggetto è quello che opera la scissione, da una postazione di sostanziale unità. Una volta attuato il dualismo, poi può inserire tutto l’impianto razionale sia sull’oggetto che sul soggetto, trovando cause-effetti, intagliando più minuziosamente l’ente, descrivendolo con più cura e infine per liberarlo dall’immediatezza del presente costringe l’osservatore (ogni osservatore) a porsi nel giusto modo di guardare, cosi che appaia proprio quell’oggetto, in ogni spazio e in ogni tempo e per tutti. Questo è proprio della scienza, cioè un metodo, una vita per giungere ad un risultato, selezionato tra molti altri. I molti altri sono gli interessanti invece per l’uomo, si cerca intanto di abbattere l’egemonia dell’unica strada imposta, per poi arrivare a due risultati: la creazione di altre strade (tolleranza, creatività) e la possibilità di far venire in luce altre strade, lasciar-essere il mondo per come appare di per se stesso. Naturalmente non si discute qui se queste strade siano convenienti, morali, pratiche, proficue, si lascerà solo in un secondo momento scontrare l’ontologia con la morale con l’etica con l’economia, che selezioneranno di nuovo le vie (metodi), strutturando l’oggetto e il soggetto per i loro scopi specifici. Cosi brevemente si può chiarire il senso dell’attacco alla psicologia, o alle altre Ragioni, non per delegittimarla e farla sparire, ma per rimetterla al suo posto e non concedere di essere l’ultimo verdetto su cosa è uomo, principalmente perchè è mal posto l’intento, una volta chiarito che se ci si chiede “cosa” è uomo, si sta già operando la scissione sopra descritta. Se l’oggetto è essente, l’uomo è ec-sistente cioè emerge dalla fatticità della cosa, avendo un mondo a sua disposizione. L’oggetto è al mondo ma non ha un mondo. Se rendo oggetto l’uomo, inserendolo in una qualsiasi teoria per quanto complessa con intenti esaustivi, lo sto privando del suo essere-al-mondo che è qui, ora, e in una personale modalità. Tra queste modalità può aversi appunto quella di mettere su un foglio l’uomo e farlo oggetto, ma solo a partire da una situazione di esistenza (emersione) dalla fatticità della cosa. E’ proprio quando l’uomo decade a cosa che è alienato, senza spazio e senza tempo, senza mondo, senza contatto vitale con la follia o con un’eccessiva esposizione, compaiono i disturbi psichiatrici o abnormità di comportamento. Se mi disponessi veramente dentro il sistema di causa effetto e di spiegazioni della psicologia, diventerei in breve prosciugato di vita, chiuso, presuntuoso e arroccato dentro un castello vuoto che rimbomba. E’ quello che succede nella schizofrenia, dove la scissione è tra corpo e mondo e non principalmente tra parti dell’io in contraddizione. Si chiude il corpo al mondo e si interrompe la relazione col mondo, rifugiandosi nell’io e relazionandosi solamente con i propri contenuti, aspaziali e atemporali, appunto oggettivi. Con questi presupposti la psicologia e la filosofia hanno come fine ultimo la schizofrenia…. Non è difficile trovare certi risultati proprio negli studenti più presi, o nei professori più convinti.


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